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Chiamandolo raffinatissimo
artigiano rischiamo quasi di
fargli un torto. Perché Clau-
dio Franchi non ha soltan-
to una grande padronanza
delle tecniche orafe, ma
anche una grande prepa-
razione teorica, sviluppata
con la laurea in storia del-
l’arte all’università Roma
Tre. La passione per la
storia dell’oreficeria antica
e le sue tecniche gli pro-
cura commissioni d’eccel-
lenza, come la creazione
dell’anello del pescatore di
papa Benedetto XVI e la
realizzazione della monu-
mentale Icona Acheropita,
ordinate dall’Ufficio delle
Celebrazioni del Pontefice.
Nel 2002 la Federazione
dei rappresentanti orafi lo
ha premiato come miglior
argentiere d’Italia, e l’anno
precedente aveva ricevuto
il premio Argò per la sua
collezione di argenti moder-
ni ispirata ai tesori romani
di Boscoreale. Fra le tante
CLAUDIO
FRANCHI
il
ANNALISA FONT NA
36- il giornale dell’ Orafo
di Roberto Chilleri
ANNALISA FONTANA
-Perché orafi e gioiellieri fanno poca pubblicità?
In tanti anni di lavoro nel settore ho sentito, da parte degli orafi, tante motivazio-
ni, a volte sensate, a volte un po’ bizzarre. Ritengo che in passato a molti im-
prenditori sia mancata soprattutto la capacità di guardare al presente ma con un
occhio al futuro. Quando gli affari andavano a gonfie vele, la pubblicità appariva
superflua, mentre oggi spesso mancano risorse da investire.
-Quanto bisogna investire perché una campagna televisiva funzioni?
Sarebbe facile rispondere con una quantificazione puramente monetaria. Sicu-
ramente costa molto, anche se è possibile ottenere dalle emittenti “pacchetti”
particolarmente favorevoli. Per essere efficace la campagna dev’essere ben
fatta, ben programmata e soprattutto costante: non ci si può limitare a qualche
spot un mese l’anno e in fasce orarie economiche. Ma soprattutto va abbinata
ad altre attività di comunicazione. E per una buona attività di comunicazione non
sono indispensabili investimenti stellari, ma occorre studiare programmi sosteni-
bili e calibrati sulla propria realtà e sui propri obiettivi.
-Comarketing e collaborazioni tra produttore e negoziante sono alternative
valide alla campagna pubblicitaria tradizionale?
Se tra i due partner c’è sintonia d’intenti, tutto quanto fa comunicazione può fun-
zionare. Ma ribadisco che il progetto deve essere calibrato sulle proprie poten-
zialità ed esigenze senza farsi incantare dalle sirene della pubblicità. E occorre
determinazione: una sponsorizzazione una tantum o qualche paginetta a Natale
servono a poco.
-Consiglierebbe a una marca di gioielli di ingaggiare un testimonial?
Francamente no, a meno che non vi sia la possibilità di ingaggiare un testimonial
a tutto tondo. Deve far riflettere il caso di quella nota marca di gioielli che una
volta ha fatto causa alla sua testimonial: durante la campagna pubblicitaria si
era presentata a un importante evento indossando il gioiello di un concorrente.
-Non c’è il rischio che il pubblico si ricordi più della celebrità che del mar-
chio?
Personalmente ritengo che quella che viene definita la cannibalizzazione del
prodotto da parte del testimonial dipenda da come si realizza la campagna e
dalla scelta di un personaggio. Per non rischiare troppo, il testimonial dev’esse-
re in linea con i valori del brand.
-C’è molta convenienza a “vestire” i protagonisti di talk show e fiction te-
levisive?
E’ un’esperienza che abbiamo fatto per alcuni clienti in fiction televisive e con
gioielli particolarmente riconoscibili. Ma l’intervento deve assolutamente rientra-
re in un programma più articolato.
-L’ultimo grido della comunicazione nel settore?
Di dolore... Scherzi a parte, non vedo molta pubblicità particolarmente innovati-
va. Prevale un’immagine classica ma che in tutta evidenza funziona. Anche per
altri beni di lusso di cui ci occupiamo abbiamo verificato che l’eccessiva innova-
zione non è ben recepita dal pubblico. L’innovazione riguarda piuttosto il mondo
del web, ma con risultati ancora da verificare.
-Un consiglio a un accademico come il professor Montieri?
Al geniale Montieri non ho proprio nulla da insegnare, anzi. Quando il nostro stu-
dio aveva la direzione dell’Orafo Italiano avevamo frequenti contatti, e in base
alla conoscenza di allora e sotto un profilo strettamente personale mi sento di
consigliargli un piglio più grintoso o, meglio, una minore pacatezza. E poi di tra-
durre in un bel libro la grandissima conoscenza e il tanto materiale di cui dispone
sulla pubblicità.
Annalisa Fontana
è contitolare dello
studio EffeErre, fondato nel 1986 con
Gianni Roggini. Fino al 2007 è stata
direttore editoriale della rivista “l’Orafo
italiano”. Nel suo background profes-
sionale c’è una lunga carriera nel setto-
re comunicazione della Fiera di Milano,
iniziata nel 1963. Lì, dopo aver iniziato
come assistente della Direzione Stam-
pa, Pubblicità e PR dell’ente espositivo,
ha ricoperto incarichi sempre più impor-
tanti, fino a diventare responsabile del
coordinamento globale del servizio – a
livello nazionale e internazionale - per
i rapporti con i mezzi d’informazione,
la pubblicità, la promozione, i progetti
d’immagine istituzionali e delle mostre
specializzate. Conosce il settore orafo,
del quale si occupa da sempre, come
pochissimi altri.